C’è del nuovo a New York

New York non è ospitale. E’ molto grande e non ha cuore. Non è incantevole, Non è amichevole. E’ frenetica, rumorosa e caotica, un luogo difficile, avido, incerto. New York non fa nulla per chi come noi è incline ad amarla tranne far entrare dentro il nostro cuore una nostalgia di casa che ci sconcerta quando ci allontaniamo e ci domandiamo perché siamo inquieti. A casa o fuori, abbiamo nostalgia di New York non perché New York sia migliore o al contrario peggiore, ma perché la città ci possiede e non sappiamo perché.

(Maeve Brennan)

E infatti…a dispetto di tutto…New York mi è mancata!

Torno qui dopo due anni e al contrario di ciò che avevo immaginato e cioè di trovare, causa pandemia, una città imbruttita, arrancante e invecchiata, la ritrovo più vitale che mai: nell’aria ambizione ed energia, voglia di fare meglio e di più, vibrazioni di rinascita.

Da cosa si percepisce? Beh, intanto in ogni quartiere che ho visitato ho trovato nuovi spazi pubblici, molto ben pensati…come a voler dare una mano a ricostruire una socialità gravemente compromessa dagli ultimi accadimenti.

Fra le varie realizzazioni che ho avuto modo di vedere, due sono quelle che a mio avviso spiccano. 

La prima è un’ampia zona commerciale affacciata sul fiume e si chiama Hudson Yards: è il nuovo quartiere di Manhattan e ospita, tra gli altri, uno dei più spettacolari ponti di osservazione della città, The Edge e la struttura The Vessel, il nuovo MUST della Grande Mela.

Con ordine.

Il Vessel è una struttura futuristica di 45 metri ( sembra un alveare) che offre una splendida vista della città da diverse altezze e ci si può salire da quattro diverse scale che portano in cima. E questo si puó fare! ( qui stavano disponendo delle sdraio per vedere il campionato di tennis Western & Southern Open)

L’Edge, invece, è un osservatorio panoramico all’aperto non uno qualsiasi, però, ma il più alto osservatorio esterno dell’emisfero occidentale: futuristico ed elegante, l’osservatorio si trova sospeso nel vuoto, a oltre 300 metri di altezza, con vista sull’intera città di New York.

Una passeggiata nel vuoto lunga più di 24 metri, su una superficie di oltre 600 mq, che fluttua nel cielo. Tutto intorno, e sotto di sé, solo vetro: da brivido!!! E questo…mi spiace molto…ma non si puó fare! Sento il solletico sotto ai piedi anche solo a pensarci! 🤦‍♀️

E poi…arriviamo al mio preferito 🤩

Il centro commerciale The Shops at Hudson Yards: moderno, di sette piani dove si riunisce “l’ universo della moda”…insomma da perderci una giornata. Ma meglio lasciare il portafogli a casa😁. Guardare non costa nulla!

La seconda novità si puó raggiungere facendo una “passeggiata sui tetti “ di New York: seguendo infatti il tracciato che di chiama High Line (sostanzialmente un percorso verde realizzato riqualificando una vecchia ferrovia sopraelevata).

Dopo un paio di miglia si arriva a Little Island che è il nuovo e rivoluzionario “parco galleggiante” di New York, aperto il 21 Maggio 2021.

Costruito su una struttura molto particolare, sospesa sul fiume Hudson, contiene percorsi con specie rare di fiori e piante, ristoranti, un anfiteatro per spettacoli all’aperto, il tutto con una bella vista sul fiume e l’Oceano.

E’ la prima grande creazione di New York a seguito della pandemia di Covid-19, si può visitare gratuitamente ed è una delle attrazioni più curiose e suggestive tra quelle “atipiche” della città.

Mi ha colpito questo suo aspetto originale, un parco che sembra fluttuare sull’Hudson: queste strane corolle che emergono dall’acqua forniscono uno spazio verde molto piacevole e molto apprezzato: per entrare prima di mezzogiorno c’è da mettersi in coda …altrimenti niente da fare!

Dunque, in conclusione di questo metaviglioso on the road che mi ha portato in quattro stati ( Oregon, California, Arizona e Nevada) e mi ha fatto apprezzare nuovi spettacoli naturali e non, ma anche riscoprire “ antichi amori’ sono felice, alla fine di aver potuto rivedere e rivivere New York: per me resta sempre il primo amore, la prima città americana che vidi nel lontano dicembre 2000, quando venni qui in viaggio di nozze, la città che scorrazzai in lungo e in largo alcuni anni dopo per un mese intero, gioravagando da sola durante il giorno ( poichè mio marito stava frequentando un corso qui alla Columbia) alla ricerca di location di film-cult , di angoli nascosti, di particolarità, di vita,…

La sua magia, il suo essere irritante e al tempo stesso magnetica, mi conquista ancora e me la fa amare sempre più.

Era troppo per crederla vera;così complicata, immensa, insondabile.

E così bella, vista da lontano: canyon d’ombra e di luce, scoppi di sole sulle facciate in cristallo, e il crepuscolo rosa che incorona i grattacieli come ombre senza sfondo drappeggiate su potenti abissi.

(Jack Kerouac)

Ciao America! Alla prossima!

Il mito resiste

„Basta seguire la strada e prima o poi si fa il giro del mondo. Non può finire in nessun altro posto, no?“ ( “ On the road “ J, Korouak)

Chi mi conosce sa! Sa che di automobili, motociclette, motori, cilindrate e di tutto quanto possa essere connesso a queste tematiche …io non ci capisco un tubo! E soprattutto non mi interessa saperne di più!

Può apparire quindi strano che abbia inserito nel viaggio una tappa interamente dedicata alla strada che per eccellenza viene legata all’idea del viaggio su due ruote, alle iconiche Harley: sto parlando della mitica Route 66. Ma per me la 66 vuol dire innanzitutto “ Easy rider”, un film che ho amato moltissimo: come si fa a rimanere indifferenti di fronte a un film che più di tutti incarna lo spirito dell’ On The Road, del senso di libertà del viaggio lungo le Highway americane?

E poi per me la “Mother Route” vuol dire Jack Kerouak e il libro “On the road”, Sulla strada, che è uno dei libri che ha contribuito a far nascere in me il forte desiderio di viaggiare. Così, devo dire, l’emozione è stata forte.

Inizio col raccontare dei paesini sulla 66 ormai quasi disabitati: un po’ patetici nel loro cercare di sopravvivere mantenendo vivo questo mito , soprattutto con il turismo, ma al tempo stesso anche affascinanti per quello che hanno rappresentato prima che la modernità e le nuove Highway li condannassero alla fine.

Il mio itinerario parte da Kingston che è “ la patria” della Route 66, dove c’è il museo più completo a lei dedicato: in realtà questa cittá é ancora viva e vegeta, poiché anche le nuove arterie stradali la attraversano e infatti noi ci siamo arrivati comodamente con una Highway. In ogni caso…ovunque ti volti leggi 66. È la cittadina che mi ha colpito di meno.

Da qui abbiamo imboccato la vecchia Route 66, che in questo tratto è ancora percorribile, e siamo entrati nel territorio appartenente alla riserva indiana Hualapai. Siamo arrivati a Peach Springs dove si inizia a respirare davvero la decadenza di questa zona: poche case, qualche pompa di benzina ormai in disuso, qualche bancarella con poca merce e pochi acquirenti.

Siamo infine arrivati alla cittá resa famosa dal film di animazione Cars: quella che nel film viene indicata come Radiator Sprigs, in realtá é Seligman. Inutile dire che questa opportunitá di rinascita i cittadini del luogo non se la sono fatta sfuggire e quindi accanto alla Old town é pian piano cresciuta una piccola zona commerciale tutta dedicata alla Route 66 formato Cars.

Ma passiamo ora all’aspetto indimenticabile di questo itinerario sulla 66 : il paesaggio circostante. L’Arizona, e in particolare questa zona vicino a Kingman, è superlativa da questo punto di vista: Indimenticabili lei strade infinite che tagliano in due, come lame affilate, deserti e praterie per poi insinuarsi come serpenti all’interno di aree geografiche impervie. E la route 66, in questo tratto ancora percorribile, non è da meno! Viaggiare su questo nastro d’asfalto, solo, nell’immensità di questi spazi…le immagini parlano per me…

Kerouak nel suo libro ( autobiografico) scrive che, per circa due anni, conduce una vita da nomade seguendo il suo amico Dean ma si rende conto, con il passare del tempo, che l’inquietudine dell’amico, che lo porta a sperimentare tutto ciò che può esserci di nuovo, è dovuta alla sua incapacità ad adattarsi alla società. Infatti Kerouak, dopo ogni viaggio, si sente sempre peggio e desidera ricominciare ad avere un luogo è un lavoro fisso. Ritorna quindi a New York e riprende a frequentare l’università e a condurre una vita normale. Accade però che rivedere Dean, il quale invece dopo ogni tentativo di fermarsi riprende a viaggiare, e così anche lui decide di ripartire.

Ecco…forse in alcuni casi la sensazione di assoluta libertà che si sperimenta in luoghi così sterminati, lontano da tutto e da tutti, questo continuo andare e andare, può generare una sorta di “ ubriacatura “ , un progressivo scollamento dalla realtá,…

Per quanto mi riguarda, sono rimasta affascinata da questi luoghi e spero sia solo un arrivederci…ma se anche fosse un addio le parole che userei per descriverlo sarebbero queste:

“Cos’è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? È il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto, ci si proietta in avanti verso una nuova, folle avventura sotto il cielo.” ( “On the Road”, J. Kerouak).

Un folle avventura…come la tempesta di sabbia in arrivo…🌩🌩🌩🌩🌪

SAN FRANCISCO

E’ la più bella città degli Stati Uniti che ho visitato finora!

Circa quattro anni fa, mentre da lontano iniziavo a scorgere il profilo di San Francisco, rimasi affascinata da questa visione : era come se la città si fosse lentamente adagiata accanto al mare e, magnificamente, da lì, osservasse l’oceano aperto da un lato e la sua baia dall’altra.

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Questo fu il primo approccio con la città. Successivamente, quando iniziammo a visitarla e a conoscere i vari quartieri, mi resi conto che l’attrazione che provavo per lei non era motivata solo dalla bellezza del contesto naturale, si trattava di qualcosa di più.
Era come se nell’aria, negli edifici ma anche nelle persone, fosse rimasto impregnato il profumo delle mille idee,talvolta rivoluzionarie e spregiudicate, che qui avevamo visto la luce.
Probabilmente era un condizionamento dovuto alle tante letture che avevo fatto su questa città, ma davvero mi sembrava di ritrovare qua e là, in scorci cittadini o in sguardi vivaci, il flower power degli hippies, o le battaglie di movimenti politici avanguardisti e, ancora, le prime forme di outing omosessuale…
Insomma, io percepivo che il nuovo e il diverso in questa città non solo erano ben accetti, ma anche cercati e voluti.

Così, ho amato ogni singolo istante trascorso in “The City” ,come la chiamano gli abitanti: ho avvertito quel feeling, quell’indescrivibile non so che così intensamente che, ancora oggi, ripensandoci, ho l’impressione di sentire il profumo pungente e salmastro di quei luoghi.

E la gente, che meraviglia!! Mille etnie che si confrontano, si mischiano.
Uno dei posti che ho visitato dove davvero il crogiolo di razze non richiede molte spiegazioni è il City Farmers Market: qui trovi indiani d’Asia e Indiani d’America che fianco a fianco cercano gli ingredienti per i loro piatti tipici, oppure giapponesi e russi…e in un tripudio di odori, colori, sapori.

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Per tutti questi motivi, San Francisco è una città più da vivere che da vedere. Il suggerimento numero uno che posso dare è di fare un giro con il caratteristico Cable Car, una via di mezzo fra tram e teleferica: le vetture sono nello stesso tempo musei e simboli su ruote che consentono la visione di insieme di alcuni quartieri.

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Il secondo suggerimento, sempre seguendo la nostra esperienza, è di camminare molto: infatti questa è una delle poche città americane dove i pedoni trovano gli spazi adeguati per muoversi ed è davvero piacevole fare il su e giù da queste strade in salita e discesa così ripide.

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E mentre si cammina capita di vedere al centro della baia di San Francisco, Alcatraz, l’isola famosa perchè ex sede dell’omonimo carcere di massima sicurezza. Quest’ultimo era noto per l’estrema rigidità con cui erano trattati i detenuti e poiché sembrava impossibile ipotizzarne una fuga (da qui prende anche il nome di “The Bastion”). Molti nomi illustri, come Al Capone, passarono parte della loro reclusione in questo carcere. Il nome Alcatraz (che in spagnolo significa “Pellicano“) deriva dai numerosi pellicani presenti nell’isola.

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Ma una delle mete del mio girovagare per la città è stata La City Lights Bookstore che è la più famosa libreria di San Francisco. È ricordata come ritrovo della beat generation e di uno dei suoi maggiori interpreti ed esponenti, Jack Kerouac. Inutile dire che mi hanno dovuta trascinare per riuscire a schiodarmi da lì!!

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Poi, sempre camminando, abbiamo raggiunto Lombard Street che è famosa per il celebre tratto di Russian Hill, composto da ripidi tornanti. E’ una strada che, con una pendenza che arriva al 20%, è riconosciuta per essere la “strada più tortuosa del mondo“.

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A poca distanza la Transamerica Piramid: è la costruzione più alta di San Francisco con i suoi 260 metri di altezza; è anche caratterizzata da una particolare forma piramidale con base quadrata che la rende un punto di riferimento del Financial District e uno dei simboli più evidenti della città.

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Arrivati sul lungomare la meta più famosa è Il Pier 39 che è un vero e proprio centro commerciale ed un’attrazione turistica costruita su un molo di San Francisco: è soprattutto famoso per la presenza di numerosi leoni marini della California. Il molo è situato sul bordo del distretto di Fisherman’s Wharf e ospita negozi, una sala video, spettacoli di strada, l’acquario cittadino (Aquarium of the Bay).

Qui l’ultima sera abbiamo cenato in un locale chiamato Crab House con un arredamento delizioso in tipico stile marinaro con reti da pesca, e granchi ovunque.
Il piatto tipico è il granchio, lo dice il nome stesso del posto, in particolare il killer crab ovvero il grande granchio rosso tanto famoso a San Francisco.

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E da lì,maginifica, la vista del Golden Gate!

A proposito del Golden Bridge Gate, il ponte sospeso sul Cancello d’Oro, lo stretto che collega l’Oceano Pacifico con la Baia di San Francisco…. per poco abbiamo rischiato di andarcene senza aver avuto la possibilità di vederlo!!!
Il motivo? E’ presto detto: durante il nostro soggiorno di tre giorni devo dire che abbiamo trovato giornate fresche ma non piovose; tuttavia la nebbia, al nostro arrivo, ci aveva accolto in modo abbastanza inaspettato. Infatti per ben due giorni ci era stato impossibile vedere il Golden Gate Bridge che era completamente avvolto dalla foschia.
Poi, finalmente, l’ultimo giorno, San Francisco ci ha fatto il regalo: spazzata via la nebbia!! E così…eccolo, finalmente, con il suo caratteristico color arancione, il simbolo della città.

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Ma Il ricordo più bello è un altro: le case…così in bilico, così delicate, così tenere…a guardarle da fuori mi hanno dato una sensazione di famiglia, di calore,di intimità. Ecco, potrei quasi dire di aver trovato la mia casa dei sogni. 🙂

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 “Le sue case [di San Francisco], sormontate qua e là da inquietanti grattacieli,restano per la maggior parte commisurate all’uomo, e i loro toni pastello, azzurro, bianco, rosa o verde pistacchio, conferiscono alle vie l’aspetto di un gelato misto.”

Yourcenar, Marguerite