The lost generation

Leggere per dare forma e contenuto al sogno: è una delle attività che più appagano la mia vita. Adoro scoprire particolarità, sfumature, curiosità dei luoghi che un giorno visiterò, così come adoro trovare discrepanze fra ciò che avevo immaginato e la realtà inevitabilmente differente.
Capita a volte, però, di incappare in notizie che hanno il potere di mettere in discussione il desiderio di vivere quell’avventura: mi è successo oggi, mentre leggevo un testo relativo alla cultura aborigena, alla loro particolarissima religione, da cui deriva un’ altrettanto originale arte.
Le chiamano le “generazioni rubate”: è successo che per tutto il XIX secolo, fin quasi agli anni ’60, almeno 100.000 bambini aborigeni siano stati deliberatamente sottratti alle loro famiglie dal governo australiano e dalle missioni ecclesiastiche. Questi bambini erano messi in istituto o affidati a famiglie bianche e obbligati a rinnegare la loro lingua e cultura. Le famiglie d’origine non avevano più modo di sapere nulla di loro: i bambini erano persi per sempre. Alcune leggi paternalistiche davano ai governi statali un ampio potere di sequestro dei piccoli indigeni, senza la possibilità di ricorso da parte delle famiglie. Avevo tempo fa visto un film che aveva accennato a questa vicenda, ma non ne avevo capita la vera entità!
La motivazione di tutto ciò? Questa politica aveva l’apparente fine di proteggere i bambini e garantire loro l’istruzione, ma le associazioni per la protezione degli aborigeni erano convinte che si tentasse di sradicarli per risolvere il “problema degli aborigeni”.
Molti cittadini bianchi rimasero all’oscuro della situazione fino al 1997, quando fu pubblicato un rapporto intitolato “Bringing them home”( Riportarli a casa): nel dossier si sosteneva che la politica dei trasferimenti coatti costituiva una grave violazione dei diritti umani, un “atto di genocidio mirante a spazzar via le famiglie, le culture e le comunità indigene”.

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La cosa che più mi ha indignato è che nonostante l’evidenza, ci fu ancora il coraggio da parte dell’allora primo ministro John Howard di rifiutarsi di porgere le scuse del governo e quindi anche ogni possibilità di risarcimento, perché “l’Australia non può essere ritenuta responsabile per le azioni delle generazioni precedenti”.
Alcuni conservatori addirittura negarono i fatti affermando che tutti i bambini di cui si parlava erano stati abbandonati o ceduti volontariamente dai genitori.
Solo nel 2007 il nuovo primo ministro espresse in Parlamento le scuse formali per le perdite e le sofferenze patite dalla popolazione indigena.

Ma come si può pensare e poi realizzare certe azioni aberranti come questa e avere la presunzione di ritenersi un paese civile? Rimango ogni volta scossa da quanto l’uomo possa diventare cinico e crudele.
E non è finita qui: oggi i pochi aborigeni rimasti vivono una vita misera ed emarginata.

Sono diventati un popolo di parassiti, inutile e privo di tutto, abitano i ghetti (o le riserve) poverissimi e fuori mano ma, soprattutto, sono precipitati nella spirale di un degrado senza fine e cadono sempre più nella perdizione dell’alcolismo: stanno insomma diventando inconsapevoli collaboratori di chi, dopo averli derubati di tutto, se ne vuole ora sbarazzare lasciandoli marcire in un angolo.
Ho letto dati sconvolgenti: un allarmante numero di aborigeni fra i 25 ed i 54 anni si suicida. E’ una intera generazione (la chiamano “The lost generation”, la generazione perduta) di uomini e donne incerti sul loro posto nel mondo.

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In tutte le statistiche che ho avuto modo di consultare gli aborigeni risultano sistematicamente essere i peggio trattati, i più svantaggiati, discriminati, stranieri e di troppo nella terra che solo poco più di due secoli fa era loro e abitata da loro soltanto da tempo immemorabile.
E’ inammissibile, eppure è la realtà.
E tornando alla mia lettura…certe volte è meglio non sapere.

“Vostro onore in questi due mesi io ho trovato una casa. L’ho rimessa completamente a nuovo e l’ho resa un ambiente confortevole per figli, così lei si espresse. Ho e conservo un posto di magazziniere, perciò mi sono conformato alle sue richieste e in anticipo. In merito al mio comportamento, invoco l’infermità mentale perché, da quando nacquero i miei figli, dall’istante che li ho guardati, io ero già pazzo di loro, quando li ho presi in braccio ero già steso. Sono prole dipendente signore. Io li amo con tutto il mio cuore e l’idea che mi si dica “Non puoi vivere con loro o vederli ogni giorno”, sarebbe come dirmi “Ti tolgo l’aria”. Io non vivo senza l’aria e non vivrei senza i miei figli! Io farei qualunque cosa, voglio stare insieme a loro, è un bisogno irrinunciabile, siamo una sola cosa e loro sono tutto per me, hanno bisogno di me come io di loro! Perciò io la prego, la prego non mi separi dai miei bambini. Grazie.”

Daniel Hillar dal film “Mrs Doubtfire”

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