31 agosto, Cremona
Prima di raccontare l’esperienza che ho vissuto a Santa Fe, devo fare una premessa.
Io ho fede. Questo non vuol dire che la mia mente non sia attraversata da dubbi, i dubbi fanno parte integrante della fede,… ma alla fine la fiducia in Dio è più forte di qualsiasi dubbio. Non so neppure da dove arrivi questo regalo, perché secondo me, avere fede è il dono più grande che si possa ricevere. Ho provato a darmi delle spiegazioni razionali: forse la mia fede deriva da una debolezza di fondo che mi porta a cercare qualcosa che mi aiuti ad affrontare le peripezie della vita? forse la fede è la mia risposta al terribile pensiero di non rivedere davvero mai più le persone care che mi hanno lasciato? o forse ho fede perché senza non sarei in grado di tracciare delle linea guida per la mia vita?
Non so. So soltanto che io ho fede, sono credente e praticante e mi riconosco negli insegnamenti dei Vangeli.
Ma non me la sento di fare opera di evangelizzazione.
In questo non sono una buona cristiana…però io detesto chi pensa di avere la verità in tasca e di poterla dispensare, così come detesto chi cerca di forzare la volontà altrui.
Mi è capitato talvolta di essere considerata una “credulona“per il fatto di credere in Dio, addirittura di essere guardata dall’alto in basso, con sufficienza. Ci sta. Non me ne faccio un cruccio….anche perché alla fine la certezza su quale senso ha questa nostra vita, nessuno ce l’ha. E nemmeno la certezza dell’esistenza o della non esistenza di una volontà divina.
Questa mattina, dopo due mesi, ho partecipato alla messa della domenica nella mia parrocchia. E’ stato bello ritrovare un luogo caro, ma al tempo stesso, in maniera spontanea, mi ha sopraffatto il ricordo dell’ultima messa a cui ho partecipato in America, mentre mi trovavo a Santa Fe.
Il nome intero di Santa Fe è “La Villa Real de la Santa Fé de San Francisco de Asís”, i(Città reale della Santa Fede di San Francesco d’Assisi). Con un nome simile non poteva disattendere alle aspettative e in effetti, nel nostro girovagare in città, abbiamo trovato luoghi di culto molto interessanti: La chiesa intitolata alla Madonna di Guadalupe, la Chiesa di Loretto e la più antica chiesa dell’America occidentale, San Miguel.
Ad appena 10 chilometri, sulle colline ad est di Santa Fe c’è il santuario di Chimayo che sorge in una zona dove i pellerossa anni prima avevano trovato una fonte termale che ritenevano sacra; è diventata la Lourdes americana, poiché si può prelevare una piccola quantità di terra fangosa per mischiarla ad acqua e poi ingerirla in caso di gravi infermità.
Moltissimi gli ex voto per bambini: pareti intere di scarpine da neonati.
E poi in città c’è la cattedrale intitolata a San Francesco: sul sagrato, a fianco alla sua statua, compare anche quella della prima santa nativa americana.
Proprio in questa cattedrale, per puro caso, ci siamo trovati ad assistere ad una cerimonia affascinante.
Poiché quel fine settimana si svolgeva l’annuale Indian market, il sabato pomeriggio, nella cattedrale, è stata celebrata la messa compartecipata con i pueblos della zona.
L’ingresso dell’arcivescovo che presiedeva la celebrazione è stato anticipato dall’entrata dei capi dei pueblos presenti, vestiti con i loro abiti cerimoniali, accompagnanti da canti e musiche pellerossa. L’intera funzione è stata una staffetta fra brani della sacra Bibbia letti in inglese, in spagnolo e in vari dialetti pellerossa, così come le musiche e i canti sono stati talvolta animati da gestualità rituali.
Il culmine della celebrazione è stata l’orazione dell’arcivescovo che, con estrema semplicità ha ringraziato il popolo dei nativi americani per aver portato nella religione cristiana nuova vitalità, nuova spiritualità, sincera e profonda.
Li ha ringraziati per aver saputo resistere alle tante ingerenze straniere, anche violente, scusandosi per un passato non certo glorioso dell’uomo bianco.
Ancora li ha ringraziati per averci portato la loro simbologia religiosa che non è poi così diversa dalla nostra e che rimanda a un Dio padre buono e misericordioso.
E poi si è fatto da parte e ha lasciato che alcuni ragazzi pellerossa, vestiti con copricapo e ali, che simboleggiano l’aquila reale, mostrassero la loro danza preghiera di ringraziamento a Dio.
In chiesa l’attenzione era totale: questi giovani hanno iniziato una danza accompagnati dai tamburi suonati dai capi dei pueblos; da ritmi lenti, via via più veloci per arrivare all’apoteosi dell’estasi accecante che riporta a Dio. Poi il silenzio.
Ho assistito ipnotizzata alla cerimonia e non so per quale motivo mi sono emozionata talmente che avevo gli occhi in fiamme… Ho avvertito in questa cerimonia la presenza di migliaia di persone che in nome di una qualsiasi religione sono stati uccisi, ho respirato la spiritualità pulita e generosa di questo popolo, ho avvertito la genuinità del richiamo al rispetto e all’amore reciproco; ho sentito respirare il divino.
Come vorrei che chi si riempie la bocca di parole d’odio giustificandole con verità di religione, potesse essere illuminato, potesse capire che il bisogno di spiritualità deve portare le persone a vivere la propria vita al meglio… per chi non crede, nell’ottica dell’adesso, per chi crede, nella speranza del domani ultraterreno.
La messa si è poi conclusa con la benedizione solenne e con l’invito a diffondere la pace in nome di Dio, qualunque sia il nome che a Lui vogliamo dare.
Una rivisitazione del Cantico dei Cantici di San Francesco, con musica dei nativi americani, ci ha accompagnato all’usicta: “Guida i nostri passi Signore sul cammino della vita”.
Un’ esperienza che ha lasciato il segno.