Santa Fe: the faith

31 agosto, Cremona

Prima di raccontare l’esperienza che ho vissuto a Santa Fe, devo fare una premessa.

Io ho fede. Questo non vuol dire che la mia mente non sia attraversata da dubbi, i dubbi fanno parte integrante della fede,… ma alla fine la fiducia in Dio è più forte di qualsiasi dubbio. Non so neppure da dove arrivi questo regalo, perché secondo me, avere fede è il dono più grande che si possa ricevere. Ho provato a darmi delle spiegazioni razionali: forse la mia fede deriva da una debolezza di fondo che mi porta a cercare qualcosa che mi aiuti ad affrontare le peripezie della vita? forse la fede è la mia risposta al terribile pensiero di non rivedere davvero mai più le persone care che mi hanno lasciato? o forse ho fede perché senza non sarei in grado di tracciare delle linea guida per la mia vita?

Non so. So soltanto che io ho fede, sono credente e praticante e mi riconosco negli insegnamenti dei Vangeli.
Ma non me la sento di fare opera di evangelizzazione.
In questo non sono una buona cristiana…però io detesto chi pensa di avere la verità in tasca e di poterla dispensare, così come detesto chi cerca di forzare la volontà altrui.

Mi è capitato talvolta di essere considerata una “credulona“per il fatto di credere in Dio, addirittura di essere guardata dall’alto in basso, con sufficienza. Ci sta. Non me ne faccio un cruccio….anche perché alla fine la certezza su quale senso ha questa nostra vita, nessuno ce l’ha. E nemmeno la certezza dell’esistenza o della non esistenza di una volontà divina.

Questa mattina, dopo due mesi, ho partecipato alla messa della domenica nella mia parrocchia. E’ stato bello ritrovare un luogo caro, ma al tempo stesso, in maniera spontanea, mi ha sopraffatto il ricordo dell’ultima messa a cui ho partecipato in America, mentre mi trovavo a Santa Fe.

Il nome intero di Santa Fe è “La Villa Real de la Santa Fé de San Francisco de Asís”, i(Città reale della Santa Fede di San Francesco d’Assisi). Con un nome simile non poteva disattendere alle aspettative e in effetti, nel nostro girovagare in città, abbiamo trovato luoghi di culto molto interessanti: La chiesa intitolata alla Madonna di Guadalupe, la Chiesa di Loretto e la più antica chiesa dell’America occidentale, San Miguel.

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Ad appena 10 chilometri, sulle colline ad est di Santa Fe c’è il santuario di Chimayo che sorge in una zona dove i pellerossa anni prima avevano trovato una fonte termale che ritenevano sacra; è diventata la Lourdes americana, poiché si può prelevare una piccola quantità di terra fangosa per mischiarla ad acqua e poi ingerirla in caso di gravi infermità.
Moltissimi gli ex voto per bambini: pareti intere di scarpine da neonati.

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E poi in città c’è la cattedrale intitolata a San Francesco: sul sagrato, a fianco alla sua statua, compare anche quella della prima santa nativa americana.

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Proprio in questa cattedrale, per puro caso, ci siamo trovati ad assistere ad una cerimonia affascinante.
Poiché quel fine settimana si svolgeva l’annuale Indian market, il sabato pomeriggio, nella cattedrale, è stata celebrata la messa compartecipata con i pueblos della zona.

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L’ingresso dell’arcivescovo che presiedeva la celebrazione è stato anticipato dall’entrata dei capi dei pueblos presenti, vestiti con i loro abiti cerimoniali, accompagnanti da canti e musiche pellerossa. L’intera funzione è stata una staffetta fra brani della sacra Bibbia letti in inglese, in spagnolo e in vari dialetti pellerossa, così come le musiche e i canti sono stati talvolta animati da gestualità rituali.

Il culmine della celebrazione è stata l’orazione dell’arcivescovo che, con estrema semplicità ha ringraziato il popolo dei nativi americani per aver portato nella religione cristiana nuova vitalità, nuova spiritualità, sincera e profonda.

Li ha ringraziati per aver saputo resistere alle tante ingerenze straniere, anche violente, scusandosi per un passato non certo glorioso dell’uomo bianco.
Ancora li ha ringraziati per averci portato la loro simbologia religiosa che non è poi così diversa dalla nostra e che rimanda a un Dio padre buono e misericordioso.
E poi si è fatto da parte e ha lasciato che alcuni ragazzi pellerossa, vestiti con copricapo e ali, che simboleggiano l’aquila reale, mostrassero la loro danza preghiera di ringraziamento a Dio.

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In chiesa l’attenzione era totale: questi giovani hanno iniziato una danza accompagnati dai tamburi suonati dai capi dei pueblos; da ritmi lenti, via via più veloci per arrivare all’apoteosi dell’estasi accecante che riporta a Dio. Poi il silenzio.

Ho assistito ipnotizzata alla cerimonia e non so per quale motivo mi sono emozionata talmente che avevo gli occhi in fiamme… Ho avvertito in questa cerimonia la presenza di migliaia di persone che in nome di una qualsiasi religione sono stati uccisi, ho respirato la spiritualità pulita e generosa di questo popolo, ho avvertito la genuinità del richiamo al rispetto e all’amore reciproco; ho sentito respirare il divino.

Come vorrei che chi si riempie la bocca di parole d’odio giustificandole con verità di religione, potesse essere illuminato, potesse capire che il bisogno di spiritualità deve portare le persone a vivere la propria vita al meglio… per chi non crede, nell’ottica dell’adesso, per chi crede, nella speranza del domani ultraterreno.

La messa si è poi conclusa con la benedizione solenne e con l’invito a diffondere la pace in nome di Dio, qualunque sia il nome che a Lui vogliamo dare.
Una rivisitazione del Cantico dei Cantici di San Francesco, con musica dei nativi americani, ci ha accompagnato all’usicta: “Guida i nostri passi Signore sul cammino della vita”.

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Un’ esperienza che ha lasciato il segno.

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ARCHES NATIONAL PARK and CANYONLANDS

24 agosto, Moab

Arriviamo all’Arches National Park dopo aver percorso alcune miglia da Moab, una cittadina satellite nata in questa zona dello stato dello Utah, proprio come punto di appoggio per le escursioni nei vari parchi rocciosi che si possono raggiungere da qui.

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Il parco è un’ area naturale protetta degli Stati Uniti che conserva oltre 2000 archi naturali di arenaria, includendo il famoso Delicate Arch oltre ad una varietà di formazioni geologiche uniche.
Il parco copre una superficie di 309 km², e la sua altitudine varia tra i 1723 m e i 1245 m. Dal 1970 42 archi sono crollati a causa dell’erosione. 

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All’arrivo, tappa obbligatoria al centro visitatori. Finalmente si parte alla scoperta dei tesori del parco!

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Subito ci accorgiamo che nonostante la meta sia il Delicate Arch, in realtà anche solo le suggestive formazioni rocciose che si susseguono nel percorso valgono i tanti chilometri percorsi per arrivare fino a qua.

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Parcheggiamo l’auto e ci avviamo con zaino e acqua abbondante per il percorso fra le rocce che ci porterà all’Arco simbolo dello stato dello Utah: la via  è abbastanza faticosa sia per il caldo, sia per il tracciato in salita, a volte anche ripido.

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Dopo un’ora arriviamo alla meta: le parole non possono esprimere la meraviglia e, purtroppo, temo nemmeno le immagini. Un miracolo della natura, solo questo.

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Lasciamo il parco per dirigerci a Canyonlands; è un’area protetta che comprende alcuni dei paesaggi caratterizzati dall’erosione del fiume Colorado, a monte del Lago Powell, in un ambiente semi-desertico. La superficie del parco, istituito nel 1964, è di 1.366 chilometri quadrati.

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Anni fa avevamo già visitato il Grand Canyon, che per me rimane l’espressione massima della natura , e pertanto eravamo scettici riguardo la visita di questo parco. Ci sbagliavamo. Anche in questo caso la parola alle immagini….il nome “Island in the sky” che viene data a questa porzione dell’area protetta, è più che meritato.

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Questa è l’ultima tappa del nostro viaggio. Lascio questi luoghi col cuore leggero e lo spirito rinfrancato.

Domani, altri 600 chilometri per arrivare a Denver dove ci attende l’aereo che ci riporterà in Italia.

Non voglio aggiungere altro se non che… il viaggio non è terminato, sta già continuando nella mia immaginazione.

Arrivederci America!

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INDIAN MARKET

22 agosto, Santa Fe

A Santa Fe, più che in altre zone del sud-ovest americano, ho avvertito in modo tangibile la presenza dei nativi americani, quelli che spesso vengono definiti “pellerossa”.
Questi territori erano di loro proprietà una volta…oggi ci vivono quasi da “stranieri”…perchè?

L’immagine ingenua dei pellerossa include voluminosi copricapi di piume variopinte, scorribande attraverso grandi praterie incontaminate, buffe casette coniche, spirali di fumo che si levano alte nel cielo….

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Sono gli “Indiani d’America”, per la storica svista di Cristoforo Colombo: personalmente li ho conosciuti attraverso i filtri più o meno lusinghieri dei film, responsabili di molti cliché fioriti attorno a questo popolo.

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Ma cosa è accaduto dopo che i riflettori sulle storie del Far West si sono spenti? Che fine hanno fatto i famosi pellerossa, dove vivono e come? Ho letto molto su questo popolo prima di partire, ma attraversare proprio i territori che una volta erano dominio incondizionato dei pellerossa, mi è servito per rendermi conto di come effettivamente viva oggi questa popolazione.

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Dei circa 80 milioni del XVI secolo oggi ne restano solo 4: un terzo abita ormai nelle città, ma a ospitare la maggior parte dei nativi sono le riserve dove alti tassi di povertà, di criminalità e di disoccupazione – che colpisce quasi la metà di questa gente – indicano una situazione problematica aggravata dalle difficoltà di integrazione con il resto della società.

La maggior parte di loro conduce una vita molto misera e semplice: sono molto orgogliosi delle loro tradizioni e del patrimonio delle tribù, tuttavia capiscono anche che i loro standard di vita devono essere migliorati. Così, senza rinunciare al loro patrimonio culturale , si sono organizzati in consigli per collaborare con il governo federale per creare nel corso degli anni dei programmi di educazione, dei servizi sanitari e di formazione professionale.

Oggi molti indiani, per guadagnatesi da vivere, promuovono l’arte indiana che , in effetti, sta vivendo una vera e propria rinascita.

Molti nativi, infatti, con tecniche tradizionali, hanno trovato nei mercati la possibilità di promuovere e tramandare le loro arti e mestieri, riscuotendo un enorme successo tra collezionisti e turisti.

A Santa Fe , come culmine di questa nuova opportunità di riscatto, ogni anno, in agosto, si tiene la fiera internazionale dei nativi americani: si tratta di un festival dell’arte e dell’artigianato pellerossa che richiama gente da ogni parte del mondo.
Si radunano qui rappresentanti di tutti i pueblo degli Stati Uniti ( Apaches, Sioux, Navajo,….) per promuovere in modi diversi la loro arte e la loro tradizione.

Ho avuto la fortuna di essere qui a Santa Fe proprio nel weekend dedicato a questo festival: un’esperienza unica!. Ovunque, suoni, profumi, voci, canti, musiche, riti; materiali naturali, preziosi, lavorati, grezzi, tessuti, bruciati, levigati; colori,sfumature, lucentezze, motivi, simbologie, disegni, graffiti,…La testa gira…E’ arte pura! Questo è null’altro! Le parole sono superflue: le immagini dicono tutto.

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Mi auguro che anche i nativi americani vivano questi momenti come una festa e anche come un piccolo riscatto per i torti subiti.
Speriamo davvero che si sia invertita la tendenza e che oggi gli indiani americani siano visti per quello che in realtà sono stati: figure storiche eroiche e romantiche che hanno combattuto, attraverso l’ abilità e il coraggio, le forze schiaccianti della popolazione bianca che invase i loro territori.
Dalle loro opre d’arte si comprende anche come essi rappresentino una spiritualità di sintonia gli uni con gli altri e con la natura: equilibrio e armonia sono concetti spesso ben radicati nello stile di vita indiano.

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Se pensiamo che viviamo in una società allarmata da danni ecologici e disastri ambientali ….lo stile di vita degli indiani, in sintonia con madre natura dovrebbe servire come modello per la sopravvivenza….

Mi sono innamorata di questa cultura imbevuta di rispetto e amore: ho iniziato a scoprire anche la loro poesia…E’ questo, forse, il dono più grande che ho ricevuto dal mio viaggio.

Vivi la tua vita in maniera tale che la paura della morte
non possa mai entrare nel tuo cuore. 
Non attaccare nessuno per la sua religione; 
rispetta le idee degli altri, e chiedi che essi rispettino le tue. 
Ama la tua vita, migliora la tua vita,
abbellisci le cose che essa ti da. 
Cerca di vivere a lungo
e di avere come scopo quello di servire il tuo popolo.
Prepara una nobile canzone di morte per il giorno
in cui ti incamminerai verso la grande separazione. 
Rivolgi sempre una parola od un saluto quando incontri un amico,
anche se straniero, in un posto solitario.
Mostra rispetto per tutte le persone e non umiliarti davanti a nessuno.
Quando ti svegli al mattino ringrazia per il cibo e per la gioia della vita.
Se non trovi nessun motivo per ringraziare,
la colpa giace solo in te stesso.
Non abusare di niente e di nessuno,
per farlo cambia le cose sagge in quelle sciocche
e priva lo spirito delle sue visioni.
Quando arriverà il tuo momento di morire,
non essere come quelli i cui cuori sono pieni di paura,
e quando arriverà il loro momento essi piangeranno 
e pregheranno per avere un ‘altro poco di tempo per vivere 
la loro vita in maniera diversa. 
Canta la tua canzone della morte
e muori come un eroe che sta tornando alla casa.”



Capo Tecumseh

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ART OF SANTA FE

22 agosto,  Santa Fe

L’attraente Santa Fe in New Mexico è stata la tappa successiva del nostro itinerario. Ci arriviamo dopo un viaggio di circa 400 chilometri: durante il percorso di avvicinamento abbiamo incontrato paesi molto piccoli, con chiesette pittoresche, lunghi treni, con addirittura tre motrici per trainare quasi cento vagoni, e paesaggi talvolta così verdi che nemmeno sembrano appartenere al New Mexico.

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il panorama che ci accoglie a Santa Fe è molto affascinante. Senza quasi accorgersene siamo saliti a 2000 metri: Santa Fe infatti è la capitale più alta e antica degli Stati Uniti e si trova in una posizione molto bella, proprio ai piedi delle Sangue de Cristo Mountain.

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La città è nota per due elementi di spicco: l’arte e la cucina. Pare, infatti, che sia la città americana dove si mangia meglio, in particolare cibi di connotazione messicana, e dove si può avere un contatto ravvicinato con diverse forme d’arte.

Dagli inizi del ventesimo secolo, scrittori e artisti iniziarono a scoprire questa cittadina , a subirne il fascino, e a trasferirvisi. Queste terre erano state abitate da millenni daI nativi americani del Pueblo, che nel corso del tempo avevano subito l’invasione di conquistadores spagnoli, coloni montanari e militari statunitensi. L’arrivo di artisti europei e americani poteva rappresentare un’ulteriore ingerenza, mentre invece, così almeno pare, si è realizzata una convergenza fra culture proprio in nome dell’arte.
E così sono nati musei, gallerie d’arte e festival artistici di respiro internazionale che hanno reso famosa la città.

Devo dire che l’impressione è proprio quella di trovarsi in un paese diverso dall’America. Qui si respira aria di passato, di identità indiane radicate profondamente: ci sono  moltissimi edifici in adobe ( è l’impasto di argilla, sabbia e paglia essiccata al sole, molto utilizzata qui, in passato ma anche ora,  per costruire mattoni) e ovunque botteghe artigianali del Pueblo.

Apro una parentesi riguardo al termine Pueblo, poiché soltanto qui, grazie a una guida del museo indiano che abbiamo visitato, ne ho capito il vero significato.

Con il termine Pueblo si possono indicare sia una tipologia di villaggi realizzati dai popoli indigeni americani nelle attuali aree del Nuovo Messico e Arizona, sia il popolo pellerossa che li abitava.

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Tutti questi popoli nativi si distinguevano nella tessitura su telai, nella produzione di vasi molto apprezzati e nella lavorazione della creta, graffiti e pitture rupestri con figure antropomorfe, cesti e canestri, statuette e maschere
Erano popolazioni pacifiche e laboriose, spesso prese di mira dei predoni Navajo e Apache. In caso di attacco essi si rifugiavano nei loro pueblo: tolte le scalette cercavano di bersagliare dall’alto i loro nemici ma spesso, data la loro indole poco feroce, gli assalitori riuscivano a saccheggiare parte del raccolto, uccidere diversi uomini e rapire donne e bambini da usare poi come schiavi. Attualmente ci sono 21 gruppi Pueblos fedelmente riconosciuti.

Alle porte di Santa Fe abbiamo visto il pueblo di Santo Domingo, specializzato nella lavorazione di gioielli in pietre dure.

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Dopo la tappa al museo indiano, iniziamo la nostra visita dalla Plaza centrale che risale al 1610: qui nel 1675 furono impiccati tre indiani stregoni. Oggi in realtà è per lo più occupata da un parco e contornata dal portico del Palace of the Governor.

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La via più caratteristica è sicuramente Canyon Road.

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La pittura e  la scultura di ispirazione pellerossa, mescolate al moderno sta portando la cultura dei nativi oltre il confine ed è ormai considerata un tesoro nazionale. Qui a Santa Fe questo connubio è ormai diventata la caratteristica principe della città: in Canyon Road sono numerosissimi i negozi e le gallerie d’arte che espongono questo tipo di opere nate dalla rivisitazione dell’arte antica. Le botteghe stesse sono opere d’arte!

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La giornata volge al termine…rimandiamo a domani  altri tesori di questo luogo magico.

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WHITE SAND NATIONAL MONUMENT

20 agosto, Las Cruces

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Il nostro viaggio continua: dall’Arizona al New Mexico.
Dopo circa 450 km eccoci arrivati a Las Cruces che ci servirà come base per programmare la visita di domani al White Sand National Monument.

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E’ tardo pomeriggio e la visita di Las Cruces si risolve molto velocemente poiché, pur essendo la seconda città più grande del New Mexico, esteticamente è davvero bruttina. Tutto si concentra nell’arteria principale che la attraversa: negozi, ristoranti, centri commerciali.

La zona dell’ old town, Mesilla, è carina ma niente di particolare: c’è la plaza centrale stile vecchio west, la chiesa che vi si affaccia, intorno negozi piuttosto turistici e, in una via laterale, il tribunale dove Billy The Kid fu condannato a morte nel 1881.

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Si è fatto tardi…
Domani finalmente vedrò ciò che ho sognato per molti mesi.

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Saliamo in macchina e dopo circa un’ora arriviamo al White Sands National Monument. Si tratta di una porzione di deserto completamente coperta da dune di gesso bianchissimo.
Arriviamo al centro visitatori alle sette del mattino, poiché le indicazioni lette sulla guida suggerivano una visita al mattino presto oppure nel tardo pomeriggio. Ci viene fornita la mappa dei sentieri da seguire e finalmente entriamo nel parco.

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Percorriamo circa 2 chilometri in auto e, devo essere sincera, all’inizio sento crescere la delusione…non me lo ero immaginato così! Sì…vedo qualche piccola duna bianca, ma nulla di che…

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Poi, però, seguendo la Dune Drive, raggiungiamo il cuore del parco e lì …rimango incantata!
Lo scenario che si apre davanti a noi è a dire poco spettacolare: avevo visto tantissime foto di questo parco ma l’impatto visivo è davvero emozionante, qualcosa di indescrivibile. Il contrasto tra il bianco della dune di gesso e il blu intenso del cielo è così forte che sembra di essere all’interno di una cartolina. Scendiamo dalla macchina ed iniziamo ad incamminarci per i vari sentieri e poi su e giù per le dune. Persino fiori in questo deserto!

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Vorremmo non venire mai via, il silenzio è così intenso che si crea intorno a noi un’atmosfera idilliaca, si avverte un senso di pace e di serenità che non avevo mai provato prima. Un’esperienza davvero fantastica.

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Poi alla fine di un sentiero troviamo queste belle parole di Edward Abbey (è stato uno scrittore statunitense, nativo di Tucson, noto per le sue battaglie ecologiche) che ci ricordano la potenza della vita in ogni sua forma : proprio lì a fianco, come a testimoniarne la verità, troviamo una piantina solitaria e, sopra, adagiata, come a riposare, una piccola coccinella….è proprio vero…la vita ha risorse infinite!

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Ciao piccola creatura….
A malincuore ce ne andiamo…e ci rimettiamo in viaggio.

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TUCSON

18,19 agosto, Tucson

Tucson dista da Phoenix circa 160 km: la strada per arrivarci è ancora una volta la Interstate 10, la stessa che ci aveva portato in Arizona: più si procede verso sud-est e più il traffico si dirada. L’impressione è quella di allontanarsi da tutto e di perdersi lentamente nel deserto.
In realtà questa sensazione permane sino a circa 30 chilometri da Tucson perché, nell’avvicinarsi, il deserto viene lascia il posto a coltivazioni che nella periferia di Phoenix non avevamo visto.

 

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A prima vista Tucson sembra una tranquilla cittadina del sud-ovest americano, come ce ne sono a centinaia: viali molti ampi, giardini curati, e,secondo una caratteristica delle città americane, si presenta con una enorme periferia senza un centro-città; anzi, il paradosso per noi europei, è che più ti avvicini al centro e più hai l’impressione di essere in periferia, e questo vale anche per città molto più grandi come Los Angeles.

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Ma basta poco per rendersi conto che il luogo è tutt’altro che banale: in effetti, nella ricerca del nostro albergo, con il navigatore che per qualche minuto ci aveva “abbandonato”, abbiamo imboccato la Speedway, un’arteria principale, e in pochi minuti, dalla città, ci siamo ritrovati in pieno deserto!! Questo a dimostrazione che Tucson è un insediamento umano che si è ricavato un piccolo spazio in un territorio selvaggio e indomabile.

Al centro visitatori della città ci hanno dato molte informazioni… ma alcune di esse, devo dire, mi hanno lasciato un po’ perplessa..
Ci hanno detto che Tucson è una città particolare, dove la gente viene per una vacanza e poi non va più via. La popolazione così cresce continuamente. Pare, inoltre, che il tasso di mortalità e di malattia sia il più basso di tutti gli Stati Uniti e si attribuisce questo fenomeno al clima, il più salubre e temperato degli States.
La città è sorta attorno ad un centro che oggi corrisponde alla down-town, dove sorgeva l’antico villaggio principale del Popolo del Deserto che qui abitava. In quella zona, ed in un punto particolare, esiste una strana forma di energia, ma il fenomeno si estende anche a tutta la città 
( come si dice per Sedona).

Dopo aver raccolto le informazioni riguardo a vari punti di interesse, essendo ormai pomeriggio, abbiamo deciso di lasciare la visita della città al giorno dopo.
Abbiamo optato,invece, per l’ escursione ad una missione appena fuori città.
La Missione di San Xavier del Bac viene considerata una delle più belle chiese degli Stati Uniti: è in stile spagnolo e si trova in una riserva indiana a poche miglia a sud di Tucson. Essendo isolata l’impatto all’arrivo è notevole: la missione si vede già in lontananza tutta bianca, anche per questo il suo soprannome è “Colomba Bianca”.

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San Xavier Mission è stata fondata come una missione cattolica da Padre Eusebio Kino nel 1692. . La costruzione della chiesa attuale è iniziato nel 1783 e fu completata nel 1797. E’ la più antica struttura europea intatta in Arizona.

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Anche l’interno della missione lascia a bocca aperta per la ricchezza delle decorazioni; bellissima la statua della Madonna e le sedute con gli schienali arrotondati. Annesso c’è anche un piccolo chiostro e alcuni altarini.

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A lato della missione sorge una collinetta che porta in cima una croce bianca: nonostante il caldo soffocante siamo saliti per la via sterrata e abbiamo trovato una riproduzione della grotta di Lourdes affacciata su un panorama ampio e rasserenante: davvero un luogo magico.

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Lasciamo questo luogo suggestivo per far ritorno in hotel e sul fare della sera, Tucson ci regala un tramonto di linee e colori incantevoli: delizia per gli occhi e per il cuore.

La mattina suggestiva l’ abbiamo dedicata alla visita del Saguaro National Park , un’ area naturale protetta a ovest di Tucson: il parco fa parte del Deserto di Sonora e prende il nome dal saguaro, un cactus gigante nativo di questa regione.

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Seguendo la strada che dal centro visitatori si addentra nel parco per circa 2,5 km abbiamo raggiunto la Bayada loop drive, una strada sterrata e ripida che compie un giro di quasi 10 km attraverso una fitta foresta di saguaro: in alcuni punti si aprono viste viste panoramiche delle montagne e della foresta di saguaro. Davvero impressionante la concentrazione di questi cactus e la loro varietà nelle forme e anche nelle sfumature di colore. Nel parco vivono molte animali adattati a vivere in climi aridi e caldi come le lucertole cornute, il ratto canguro, l’orso nero e il cervo dalla coda bianca.Tuttavia, dato il clima torrido, non abbiamo potuto avvistare alcun animale poiché durante il giorno stanno nascosti. Nel parco sono presenti alcuni dei rettili più caratteristici del Nord America, in particolare 5 specie di serpenti a sonagli ( non ci tenevo poi così tanto a incontrarle…)

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Nel pomeriggio abbiamo approfondito la conoscenza della downtown: la nostra visita della città è iniziata dal centro , il “Rio Nuevo” recentemente restaurato; lì vicino abbiamo visitato anche il santuario “ELtiradito “detto Wishing Shrine, cioè santuario dei desideri e la St Augustine Cathedral.

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Molto carino è anche il quartiere universitario dell’ University of Arizona: è attraversato dalla Park Ave dove si affacciano molti negozi, caffè e ristoranti. Qui gli universitari sono chiamati “wildcats”!

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Rimango sempre stupefatta dalla scelta degli arredi cittadini e dall’originalità di alcuni decori… è proprio vero che sui gusti non si discute! 🙂

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Camminando per le vie in cerca di scorci particolari e di curiosità si arriva a percepire che Tucson è una cittadina davvero piacevole, molto “rilassata”, dove si respira un clima di….fatico a trovare il termine adatto…ma oserei dire di “gentilezza”. Un modo gentile di affrontare la vita, di accogliere gli stranieri, di lavorare, di divertirsi, all’insegna del rispetto dei tempi, dei ritmi e delle energie.
Difficile da spiegare …ma è quello che ho percepito.
Cosa ricorderò di Tucson? Gentilezza e disegni di nuvole.
Cose semplici.

Preziose?

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p.s Un saluto anche da lui 🙂

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PHOENIX E SEDONA

16,17 agosto, Phoenix

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Phoenix in realtà non si può definire una città vera e propria ma piuttosto un conglomerato di una ventina di cittadine collegate da superstrade. Arrivando dal deserto appare come un gigantesco centro commerciale all’aperto nel bel mezzo di una distesa pianeggiante e arida, contornata da rilievi.

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Phoenix è la capitale dello stato dell’Arizona, ed è l’ottava città più grande di tutti gli Stati Uniti: è normale che avendo 3 milioni di abitanti, possa apparire dispersiva.Il clima, poi, non aiuta: non più di tre settimane fa la città è stata investita da una furiosa tempesta di sabbia !In effetti qui Il clima è desertico: caldo e secco in quasi tutti i periodi dell’anno, con punte estive che possono superare i 40 gradi.  Al nostro arrivo abbiamo toccato i 42!!! Terrificante! In realtà, per fortuna, dopo il primo impatto abbiamo scoperto, spostandoci fra i vari distretti che anche al caldo torrido ci si può adattare…movimenti lenti, acqua sempre a disposizione e …quando non se ne può più un bel giro in un centro commerciale!! 🙂 

Poiché siamo arrivati che era già pomeriggio, abbiamo deciso di concentrarci nella visita dei quartieri che vengono considerati più interessanti.
Siamo partiti da quello in cui è si trova il nostro hotel, Scottsdale: le guide lo indicano come il più chic perché vi si trovano le grandi catene di hotel internazionali e centri commerciali scintillanti.
In realtà la parte più carina che abbiamo visto è la zona centrale: è composto da piacevoli isolati con bar e negozi di souvenir e dalla zona della old town che dovrebbe dare un “assaggio” del selvaggio west.
Qui, ad alcuni edifici del XX secolo ne sono stati aggiunti altri di recente costruzione, proprio per ricreare le ambientazioni del vecchio West.  

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Ci siamo poi spostati, rigorosamente in auto, nella zona chiamata Tempe, dove si trova la sede dell’Arizona State University: la via principale, dove egli studenti possono prendersi una pausa dagli studi, è la Mill Avenue con caffè, ristoranti e negozi. Questa parte di città mi è piaciuta molto, meno artificiale e, grazie alla presenza di molti giovani, più vivace.

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Ci stavamo rilassando passeggiando per queste vie, quando a un certo punto, in maniera repentina, si è levato un vento molto forte e, nello stesso tempo, in cielo, ci siamo accorti che alla luce sfolgorante del sole si stava sostituendo un cielo minaccioso.

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Di corsa alla macchina e ..incredibile a dirsi: piove! E soprattutto in cielo ci sono fulmini a non finire! Paura!
A Phoenix penso che vedano la pioggia due volte in un anno: ecco, possiamo dire: “noi c’eravamo!!!!” 🙂

Fortuna che è durato poco…

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Il giorno dopo era in programma l’ escursione in giornata a Sedona, una piccola cittadina conosciuta dal 1981 come sede di potenti energie terrestri che si dice provengano dalle imponenti rocce rosse che la circondano: è una località new age esplosa quando la scrittrice e veggente Page Bryant affermò che a Sedona era “il charka del cuore del pianeta”. Intendeva dire che qui si trova un vortice nel quale le energie psichiche e elettromagnetiche possono essere incanalate per ottenere armonia non solo personale ma anche planetaria.
Viene ormai soprannominata la nuova Santa Fe ( altra località new age) perché per la città ormai si trovano quasi esclusivamente esperti e adepti che scandagliano la psiche umana, angeli protettori, cristalli magici, misticismi di vario tipo).
Ciò che a noi interessava, però, era lo spettacolo del paesaggio circostante che è davvero meraviglioso: qui infatti sono stati girati gli esterni di molti film.

Sulla via dell’andata abbiamo visto moltissimi cactus  sulle colline circostanti; il paesaggio lentamente si è poi trasformato da pianeggiante in montuoso.

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Arrivati all’ingresso di Sedona, la prima tappa  al visitor center è stata molto istruttiva: abbiamo trovato la spiegazione del colore rosso delle rocce e molte informazioni su fauna, flora e reperti archeologici trovati in zona. Molto bello un espositore con indicato “Then” e Now” per mostrare ai bambini quale funzione avevano certi reperti, mostrando loro con quali strumenti moderni oggi sono stati sostituiti.

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Abbiamo quindi diretto l’auto verso una delle tante piste che permettono l’avvicinamento a punti panoramici e devo dire che ne è davvero valsa la pena: le rocce cambiano colore intensità ad ogni variazione del cielo…da rosso scuro, quando passa un carico nuvoloso , a brillante, quasi accecante, quando il solo non dà tregua.

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Non trovo le parole per esprimere l’emozione che ho provato: tutto intorno un caleidoscopio di colori e riflessi…indimenticabile.

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Dopo esserci quasi ubriacati di queste meraviglie, abbiamo passeggiato per la via principale del centro dove ci sono negozi tipici e una architettura molto curata anche se un po’ turisitica.

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Sulla via del ritorno abbiamo decido di attraversare l’Oak Creek, un canyon anch’esso molto scenografico perché combina le rocce rosse con il verde dei boschi: davvero bello!

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PALM SPRINGS

Venerdì 15 agosto, Palm Springs

Percorriamo l’interstate che attraversa il deserto del Mojave, a circa 200 chilometri da Los Angeles…la strada è piuttosto monotona…solo a sprazzi si aprono scorci di panorami che saranno il preludio di ciò che vedremo nei prossimi giorni.

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A un certo punto intravediamo una vera e propria oasi, ricca di palme, piscine e campi da golf: siamo arrivati a Palm Springs.
Questa è solo una tappa verso l’Arizona e il New Mexico, poiché essendo partiti di pomeriggio, ormai la giornata volge al termine.
Arrivando abbiamo notato una distesa infinita di pale eoliche: una vista davvero suggestiva.

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E’ la seconda volta che ci fermiamo qui, come tappa di passaggio per i nostri viaggi: è una specie di avamposto del deserto e quindi molto comoda per rifornirsi di cibo e carburante.
La sua particolare posizione geografica le dona un clima torrido e asciutto, caratterizzato da ben 354 giorni all’anno di sole.

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Nel secondo dopoguerra le celebrità di hollywood arrivarono a frotte a Palm Springs, dove costruirono veri e propri palazzi nel deserto.
Alcune di queste case, oggi disabitate, possono essere visitate: ad esempio qui si può vedere dove Elvis passò la luna di miele , dopo il matrimonio a Las Vegas con Priscilla Beaulieu, oppure dormire nella casa vacanze di Frank Sinatra ( famosa per la sua piscina a forma di pianoforte a coda) o in altri abitazioni di altri grandi personaggi americani.

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Ovviamente la prima tappa per potersi orientare fra queste case è stata al visitar center, che in quanto a stravaganza, anche lui non scherza: la struttura ha un’originale stile spaziale.

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Abbiamo tralasciato il tour vip preferendo girovagare un po’ per la città.

Palm Springs, in effetti,  è una cittadina gradevole in cui passeggiare (al di là del caldo, che in estate non perdona…quando siamo arrivati eravamo a 41 gradi….). Camminare lungo i viali costellati da palme e villette è già di per sé una piacevole esperienza.
Il centro di Palm Springs si estende lungo Palm Canyon Drive, una bellissima via piena di botteghe, locali e negozi.

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Elementi di arredo bizzarri e cimeli del passato…

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Diciamo che qui l’estate per loro è bassa stagione, proprio perché il caldo è davvero insopportabile…sarà per questo che gli orari dei negozi sono alquanto “elastici”? Date un’occhiata a questa avviso…:-)

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Giornata lunga e faticosa…è ora di riposare e di ricaricare le pile per la prossima tappa! 🙂

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Cosa ricorderò?

giovedì 14 agosto, Seal Beach

Cosa ricorderò di queste 6 settimane vissute in un piccolo paese del sud California?

Ricorderò i pomeriggi trascorsi su spiagge assolate, il cielo turchese, l’immenso oceano, il profumo di salsedine e la brezza ristoratrice?

Ricorderò le mille esplorazioni, la ricerca dello sconosciuto, lo stupore del particolare, la gioia della conquista, la stanchezza della ricerca?

Ricorderò le sere profumate, la luna incandescente, i tramonti commoventi, le oscurità marine?
Ricorderò i mille volti incrociati, i sorrisi scambiati, le naturali incomprensioni, le persone conosciute?

Ricorderò le emozioni provate, l’ansia dell’arrivo, la frenesia del nuovo, la spensieratezza del viaggio, la malinconia della sera, la felicità del desiderio realizzato?

Non riesco a pensare di non tornare qui…è diventato una parte di noi e della nostra vita questo luogo…e se non sarà realtà, allora sarà nei miei sogni …lì, ne sono certa, lo rivedrò e, come ora, mi sentirò felice.

Arrivederci Seal Beach…ti vogliamo bene.

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A beautiful day

Mercoledì 13 agosto, Long Beach

Ieri l’Università frequentata da Tiziano per queste settimane ha organizzato una “Certificate Ceremony” per consegnare i diplomi dei corsi che si sono tenuti nella sessione estiva. In quest’occasione sono stati invitati anche famigliari e amici. Prima della consegna dei certificati, il coordinatore degli studi ha voluto far conoscere ai presenti la University State of California di Los Angeles ( detta “The Beach” e abbreviata come CSULB), descrivendone le caratteristiche e le potenzialità. E’ stato davvero molto interessante.

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Innanzitutto ci ha spiegato che la California State University Long Beach è il secondo più grande campus della 23 scuole del sistema della California State University. Il campus si estende su 131 ettari, comprende in tutto 84 edifici, e si trova a 3 miglia dall’Oceano Pacifico.L’architettura del campus è in gran parte di stile internazionale e io aggiungerei molto minimalista: l’accento è posto piuttosto sul paesaggio che la circonda che è simile a un parco naturalistico.

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Il Walter Pyramid,è il più riconoscibile punto di riferimento: è un complesso sportivo che può ospitare oltre 5.000 persone. Una sua caratteristica particolare è che due sezioni di stand interni sono dotati di grandi ascensori idraulici che possono sollevare le sedute in aria, creando spazio per cinque campi da pallavolo o tre campi da basket. La Piramide è sede della Southern California Estate Pro League , una vetrina noto per i giocatori di basket NBA attuali e potenziali.

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Altro edificio molto riconoscibile è l’ edificio universitario Student Union che è situato al centro di campus. L’edificio di vetro di tre piani occupa circa 17.000 m2 e offre attrazioni più casual, tra cui una sala studio, una sala da ballo, una food court, una pista da bowling, una sala giochi e un cinema.

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Il Rec and Wellness Center invece è un centro sportivo che copre circa 11.600 m2: è ‘stato completato nel 2010 e comprende strutture per programmi di fitness e lezioni di aerobica, campi da pallavolo, pallacanestro, badminton ( sport qui molto praticato), pareti di arrampicata, una pista coperta, una sala studenti, e molto altro.

Il campus è anche la sede del Carpenter Performing Arts Center, un teatro di 1.074 posti

Dopo aver descritto le strutture presenti, ha elencato gli istituti accademici presenti:
College of the Arts
College of Business Administration
College of Education
College of Engineering
College of Health & Human Services
College of Liberal Arts
Faculty ‘of Natural Sciences and Mathematics
College of Continuing & Professional Education

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In alcune zone del parco ci sono targhe che ricordano i laureati più meritevoli: ognuno ha il proprio nome inciso su una mattonella.

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Nel 2011 un nuovo impianto di 105 milioni dollari “Hall of Science”, che ha aperto uffici e laboratori per i membri della biologia, biochimica e chimica, geologia, fisica e scienze reparti. Questo edificio ospita anche un museo hands-on per i bambini, un laboratorio di biologia marina con acqua salata e ha un impianto di serra e osservatorio sul tetto.

Infine ha ricordato alcuni personaggi molto famosi a livello internazionale che hanno studiato qui: ha elencato una serie di nomi di sportivi di basket, che personalmente non conosco, varie medaglie d’oro alle olimpiadi e infine gli unici due nomi noti per me: il regista premio Oscar Steve Spielberg e l’attore Steve Martin.

Che dire? Un’università favolosa!

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Dopo la cerimonia, ci è stato offerto un rinfresco e alcuni depliant informativi sui corsi del prossimo anno accademico: li abbiamo presi…non si sa mai …le indicazioni per l’Italia e ritorno ci sono…:-)

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Sulla via del ritorno, poiché era ancora piuttosto presto, ci siamo fermati in una riserva ecologica che avevamo notato nei giorni passati : si tratta della Bolsa Chica Ecological Reserve, situata appena fuori la cittadina di Huntington Beach ed è stata costituita per proteggere una zona umida costiera, con i suoi residenti minacciati e le specie in via di estinzione.
“Bolsa Chica” significa “piccola borsa” in spagnolo, in quanto la zona era parte di una storica terra messicana di nome Rancho La Bolsa Chica.

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Il centro offre mostre di animali vivi, acquari, mappe e informazioni su Bolsa Chica e programmi di formazione in materia di scienza delle zone umide. Per questo motivo circa 30.000 persone visitano la Riserva di ogni anno.

Noi siamo entrati dalla zona sud dove c’è il punto di partenza per il Loop Trail, 1,5 miglia attraverso un ponte di legno che con vari sistemi di passerelle consente di passare sopra vari ambienti paludosi e di vedere da vicino alcuni dei suoi “abitanti”.

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In realtà per aver la possibilità di vedere le specie più rare occorrerebbe visitare la riserva o molto presto, all’alba, o in serata: si parla di uccelli come il fratino, la sterna Caspio, il grande airone blu, il cormorano doppio crestato,il falco dalla coda rossa,il grande gufo cornuto. Ci sono anche serpenti nelle zone erbose delle zone umide…serpenti a sonagli compresi!!! Altri animali selvatici includono lo scoiattolo di terra e il coyote.

Noi di tutto ciò …non abbiamo visto praticamente nulla!! 😦  Solo qualche esemplare non identificato!

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L’ambiente comunque è molto caratteristico: assomiglia molto alle Everglades della Florida.

Una cosa interessante, però, riguarda questi strani oggetti: secondo voi cosa sono?

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Fanno parte della storia molto particolare di questo posto.
I primi popoli di Bolsa Chica furono gli indiani nativi della California. Gli archeologi hanno trovato queste pietre dentate , “Pietre Cog” che risalgono a 8000 anni fa e sono una reliquia, unica superstite, dello stile di vita indiano. Il loro scopo esatto non è noto, ma la speculazione si è concentrata sull’uso religioso o astronomico.

Dopo questa visita siamo tornati a casa…
Casa che resterà tale ancora per poco.
Oggi inizieremo a preparare i bagagli, giovedì dovremo sistemare pratiche amministrative per appartamento e università e andare a riportare questa auto e ritirare il fuoristrada, mezzo più adatto per la traversata nel deserto.
Sono felice di partire per l’avventura …ma sono dispiaciuta in modo esagerato di lasciare questi posti…il tempo è volato…

SUL TEMPO
“E un astronomo disse: Maestro Parlaci del Tempo.

E lui rispose:
Vorreste misurare il tempo, l’incommensurabile e l’immenso.
Vorreste regolare il vostro comportamento e dirigere il corso del vostro spirito secondo le ore e le stagioni.

Del tempo vorreste fare un fiume per sostate presso la sua riva e
vederlo fluire.

Ma l’eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo
E sa che l’oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi.


E ciò che in voi è canto e contemplazione dimora quieto entro i confini di quel primo attimo in cui le stelle furono disseminate nello spazio.

Chi di voi non sente che la sua forza d’amore è sconfinata?
E chi non sente che questo autentico amore, benché sconfinato, è racchiuso nel centro del proprio essere, e non passa da pensiero d’amore a pensiero d’amore, né da atto d’amore ad atto d’amore?
E non è forse il tempo, così come l’amore, indiviso e immoto?

Ma se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni stagione racchiuda tutte le altre,
E che il presente abbracci il passato con il ricordo, e il futuro con l’attesa.”

Kahlil Gibran

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Disney California Adventure

domenica 10 agosto, Anaheim

La nuova area di Disneyland, la Disney California Adventure (DCA) è un’opera di ampiamente immane poiché ha quasi raddoppiato l’estensione del parco originale.

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Qui si respira certamente un’atmosfera meno magica di Disneyland, ma ci sono molte belle attrazioni per chi ama l’adrenalina. Bello il Pier Disney con un laghetto dove si affacciano una ruota panoramica con le cabine che dondolano, l’otto volante ed altre giostre.La prima zona che vediamo è la Hollywood Pictures Backlot: qui la grande attrazione che lo caratterizza è Twilight Zone Tower of Terror. In questa torre, situata in un albergo “infestato dai fantasmi”, si viene lasciati precipitare per 13 piani, 55 metri, nel condotto dell’ascensore! Secondo voi, noi, ci siamo saliti????

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Zona successiva, il Golden State: qui sono ospitate le giostre più eccitanti del DCA. L’attrazione che davvero mi ha lasciato a bocca aperta è Soarin’over California: si tratta di un volo simulato in deltaplano con una particolare tecnologia che permette di planare sopra luoghi simbolo come il Golden Gate, le cascate di Yosemite, Malibu e, naturalmente, la stessa Disneyland. Nel corso della simulazione si viene avvolti da una leggera brezza durante l’ascesa, dal profumo del mare, degli aranceti e delle foreste di pini che si spande nel vento. Indimenticabile!

 

 

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Carina, ma non sperimentata, la Grizzly River Run che permette di fare “rafting” lungo un finto fiume della Sierra Nevada. Ci si bagna molto, quindi se la giornata non è caldissima, meglio evitare!!

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Le ultime due zone sono le più recenti, frutto dell’ulteriore ampliamento del DCA.
Noi abbiamo provato Ariel’s Undersea Adventures,che è stata inaugurata di recente: inizia in un palazzo vittoriano, dove si sale a bordo di una grande conchiglia che viene trasportata attraverso le ambientazioni marine della Sirenetta. Abbiamo incontrato Ariel, il principe Eric, Sebastian,…c’erano proprio tutti… Molto suggestiva!

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Ultima zona, Car’s Land: Splendida! Sia per l’ambientazione, non ci sono non soltanto giostre ma anche negozi e ristoranti, sia per la corsa in macchina. Una delle attrazioni più gettonate, infatti, è Radiator Springs Racers: ti permette di gareggiare attraverso 3 ettari di peaseggi di roccia rossa, raggiungendo una velocità di 65 km/h.Non siamo riusciti a salire perché qui l’attesa era di due ore!!!

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All’uscita del parco ci siamo diretti a Downtown Disney: in questa zona l’accesso è libero e racchiude notissimi negozi e ristoranti a tema con le attrazioni.

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E’ stata una esperienza bella, divertente, ma anche piuttosto stancante ( il caldo e la folla non perdonano).

Se da bambina mi avessero portato a vedere un luogo così, penso che sarei scoppiata di felicità; i bambini di oggi, secondo me, apprezzano ma … la maggior parte sembra sempre insoddisfatta: ho assistito a capricci, musi lunghi, richieste insistenti,…non so..

Comunque tanto di cappello a chi è stato in grado di realizzare un simile monumento alla fantasia: penso che persino Walt Disney, se lo vedesse ora, ne rimarrebbe stupefatto!

Da “La storia infinita”

Bastian: Fantàsia è stata distrutta.

Imperatrice: Sì.

Bastian: È stato tutto inutile.

Imperatrice: No, non è vero, Fantàsia può ancora risorgere. Dai tuoi sogni, dai tuoi desideri.

Bastian: E come?

Imperatrice: Apri la mano… C’è qualcosa che desideri?

Bastian: Non lo so.

Imperatrice: Allora Fantàsia non esisterà più. Mai più.

Bastian: Quanti ne posso dire?

Imperatrice: Tutti quelli che vuoi, più tu ne esprimerai più il regno di Fantàsia sarà splendido.

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DISNEYLAND

Domenica 10 agosto, Anaheim

Mickey Mouse venne inventato da Walt Disney nel 1928 e da allora il suo successo non ha avuto battute di arresto. Soprattutto qui in USA è amatissimo e il parco dei divertimenti che lo celebra,Disneyland, viene visitato ogni anno da più di 14 milioni di persone provenienti da tutto il mondo.

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La prima impressione quando si entra è quella di trovarsi in un’ immensa macchina multimediale: nonostante abbia visitato alcuni parchi di Orlando, in Florida, niente regge il confronto con la magnificenza di questo posto!
Già dall’ingresso ai parcheggi, ci si rende conto di trovarsi in un parco sconfinato: ci sono decine di enormi edifici a 10 piani adibiti a parcheggio, ognuno con il nome di un personaggio Disney. Solo per il parcheggio vengono chiesti 17 dollari, da integrare se si decide di rimanere lì per un tempo superiore alle 8 ore. Parcheggiata l’auto ci siamo diretti alla stazione del trenino che porta all’ingresso del parco, siamo saliti e in 5 minuti ci siamo trovati in coda alle biglietterie.

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C’era il mondo!!!! Code di 300 metri davanti a circa 30 biglietterie: devo dire che per un attimo ho pensato di lasciar perdere…io sono “allergica” alla folla, non volevo rischiare di sentimi poco bene. Poi, però, ci siamo resi conto che le file scorrevano velocemente e quindi abbiamo acquistato i biglietti (a testa  97 dollari + 54 per il secondo parco nato da poco a integrazione del primo!!! caruccio!!! )e , dopo un controllo accurato degli zaini, siamo entrati.

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Il padrone di casa ci accoglie all’ingresso: un enorme Mickey Mouse floreale e un’iscrizione che da sola dice tutto: “ qui lasci il presente ed entri nel mondo di ieri, del futuro e della fantasia”….e da lì sarà un susseguirsi di scoperte e di sorprese.

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Il parco è diviso in varie zone a tema: vicino all’ingresso, sulla destra si incontra Tomorrowland. Questa è forse l’area del parco che mi è piaciuta di meno: in pratica offre uno scorcio di come negli anni ’50, quando il parco venne aperto al pubblico, era immaginato il futuro. Vi si trovano monorotaie, missili, architettura futuristica. In realtà, sono state aggiunte delle nuove giostre: la più divertente fra quelle che ho provato è Stars Tour che è ispirato a guerre stellari. Si tratta di una navicella che dà l’idea di sfrecciare attraverso un megaschermo nello spazio profondo. E’ un semplice  simulatore, ma di livello altissimo: sembra quasi di avvertire l’assenza di gravità, il senso di smarrimento nello spazio infinito, la poesia della Terra vista da lassù…

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Anche il Viaggio sottomarino alla ricerca di Nemo è carino, adatto ai bambini più piccoli: si sale su un sottomarino e si parte alla ricerca di Nemo, in un fiume sotterraneo, coloratissimo e ricco di incontri simpatici.

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Qui si trova anche una delle attrazioni più gettonate del parco: gettonate dagli altri, perché per quanto riguarda me e Tiziano…non se ne parla nemmeno! E’ Space Mountain ed essendo un otto volante il nome dice tutto! Altezze da capogiro, curve strette, discese da urlo, musica assordante….ehm…no grazie, passo!

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Proseguendo il giro si passa alla zona denominata Fantasyland: qui abbiamo incontrato i più famosi personaggi delle fiabe e delle storie per bambini. L’ingresso nella zona avviene attraverso il castello di Cenerentola che è sempre molto suggestivo e la statua dedicata a Walt Disney.

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Ci siamo diretti immediatamente verso la zona dedicata alle varie nazioni: qui siamo saliti su una barchetta che portava all’interno di una meraviglisa rappresentazione musicale  multiculturale del mondo davvero curata in ogni particolare. Ha incantato adulti e bambini! La nostra Italia era rappresentata da una accuratissima Venezia. Io mi sono innamorata di un ippopotamo viola che stava nella zona africana. Avrei voluto portarmelo a casa!

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Le possibilità di divertimento in questa parte del parco sono indirizzate soprattutto ai bambini; noi non ne abbiamo sperimentate poiché avevamo la curiosità di ispezionare anche tutto il resto e….il tempo è tiranno: ci vorrebbero 3 giorni per provare tutte le attrazioni, anche perché le code di attesa sono ovunque, anche se sono code “in movimento”, nel senso che vengono organizzate in serpentoni che scorrono velocemente, dato che le partenze e gli arrivi dei vari mezzi di trasporto sono frequentissimi. Comunque ovunque viene esposto il tempo di attesa previsto.

Siamo quindi passata alla zona di Frontierland: anche qui ci accolgono montagne russe da brivido, le “Big Thunder Mountain Railroad. L’ambiente che è stato ricreato è quello dei pionieri, dei minatori e infatti abbiamo incontrato Tom Sawyer in persona!:-)

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La piazza centrale qui si chiama New Orleans Square e vi si affaccia la spettrale Haunted Mansion. Nel centro si trova un lago sul quale navigano battelli a vapore e canoe di indiani.

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Abbiamo deciso di metterci in coda per sperimentare il viaggio in barca dedicato ai Pirati dei Caraibi: tempo di attesa 20 minuti! Arrivato il nostro turno, siamo saliti su una “zattera” un po’ alluvionata ( ma credo che faccia parte dell’ambientazione”) e siamo partiti per un viaggio in caverne tenebrose: scheletri a non finire, voci poco rassicuranti,  personaggi del film che apparivano qua e là, animando le fedelissime ricostruzioni del film. Ad un certo punto sentiamo uno scroscio d’acqua e vediamo apparire una cascata proprio davanti alla nostra zattera…come dire…ci siamo cascati!! Pensavamo di lavarci completamente …in realtà era un ologramma!

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Siamo poi arrivati nella sala centrale e ci siamo trovati in mezzo ad una battaglia fra navi e colpi di cannone con proiettili che arrivavano a un metro dalla zattera: molto realistico! Ne è valsa la pena!

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Zona successiva: Adventureland. Qui il fiore all’occhiello è il viaggio a bordo di un’enorme jeep, guidata da Indiana Jones, attraverso il peggior incubo di un archeologo, con scimmie urlanti all’attacco!

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Divertentissimo! Però….devo dire che se lo avessi saputo prima che dovevamo attraversare un ponte di corde su un fiume di lava….me ne sarei stata a casa!!! :-/

Siamo poi saliti sulla Jungle Cruise: un giro in barca attraverso la  giungla: abbiamo fatto diversi incontri poco raccomandabili…anche in questo caso ricostruzioni davvero eccezionali e professionalità ai massimi consentiti!

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Da qui, saliamo sulla monorotaia che ci ha portato nella nuova area di Disneyland, la Disney California Adventure (DCA)

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….il resto domani… 🙂

San Diego e Oceanside

Sabato 9 agosto, San Diego

Venerdì giornata davvero grigia: non rimenava che trovare un’alternativa alla spiaggia e così…abbiamo deciso di rivedere una città che già avevamo visitato anni fa, San Diego.
Si trova a circa 160 chilometri da Los Angeles: il nostro ricordo era quello di una città molto assolata, calda al limite della sopportazione, e non molto curata.Siamo partiti di buon ora per evitare di rimanere incolonnati dopo solo 10 minuti e in effetti la scelta si è rivelata vincente: abbiamo percorso circa 100 chilometri senza problemi, poi abbiamo deciso di fare una sosta in una cittadina che non avevamo visitato l’altra volta: Oceanside.

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Parcheggiata l’auto, in due passi siamo arrivati al Pier centrale e, complice la giornata grigia, abbiamo trovato per le vie molte famiglie con bambini seduti ai tavolini intenti a fare mega colazioni , attrezzati di tutto punto per la spiaggia, in attesa che il sole si facesse vedere. Si tratta in genere famiglie americane in vacanza che arrivano dagli stati del nord, climaticamente più infelici. Immagino quindi la loro delusione di trovare un tempo che minacciava seriamente la pioggia.

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Visitare un luogo con la luce del sole e visitarlo nel grigiore, ne cambia di molto la percezione …tuttavia Oceanside ci è sembrata una bella località di villeggiatura, molto curata, con ampie spiagge ( numerosissimi gli anelli di cemento per cucinare alla griglia qualsiasi cosa… vera passione americana!)e sicuramente meritevole di almeno un pomeriggio di relax.

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Dopo aver fatto colazione, come sempre in uno Starbucks, abbiamo ripreso la strada e dopo una sessanta di chilometri siamo arrivati a San Diego.

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Il tempo stava peggiorando a vista d’occhio, il cielo era grigio, grigio e anche la temperatura non era molto incoraggiante. Abbiamo deciso di fare un breve giro per il centro: qui abbiamo rivisto alcuni particolari di arredo urbano che già la volta precedente ci avevano lasciati alquanto perplessi: l’impressione è che essendo una città quasi di frontiera, in effetti il Messico è vicinissimo, si siano uniti generi e gusti diversi ed il risultato non sempre è di buon gusto!

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Ci siamo spostati quindi verso il lungomare: qui andiamo a rivedere la USS Midway, una fantastica e imponente portaerei della seconda guerra mondiale che ha segnato un importante capitolo della storia militare americana.

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Abbiamo deciso di salire, poiché anni fa la coda di persone chilometrica ci aveva impedirò di visitarla. 
Avere la possibilità di poter visitare un autentico pezzo della storia militare statunitense, avendo come guide degli ex marinai in pensione della stessa Midway, è molto interessante, anche se non si è degli appassionati. A me la visita è piaciuta molto. Ovviamente, il tutto è organizzato alla perfezione! Ben conservata nella sua notevole mole: si respira al suo interno un aria strana ricca di storia, di vita e di morte, di valorosi, di assurdi sacrifici ed onorevole fedelta’ tra l’odore di polveri da sparo, olio motore, pneumatici di aereo, acciaio e ferro….a condire il tutto i profumi dell’ oceano che la ospita…

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Siamo scesi dalla nave e …ha iniziato a piovere!!!….nemmeno il tempo per fare due foto in santa pace!!! E così siamo risaliti in auto e ci siamo spostati nella parte orientale della città dove si trova l’altra grande attrazione di San Diego: il Balboa Park,
Lo avevamo visitato in una giornata afosissima e questa grande area verde, che è una delle maggiori attrazioni della città stessa, ci aveva offerto un riparo dalla calda giornata estiva: ospita i maggiori musei cittadini, tra cui il San Diego Museum of Art, il Natural History Museum e il Fleet Space Teather.
Al suo interno si trova anche il San Diego Zoo, struttura nota in tutto il mondo per la sua particolare bellezza nonché per le numerose specie di animali che ci vivono.
Purtroppo …abbiamo fatto in tempo soltanto a fotografare la targa dell’ingresso che un nubifragio si è abbattuto su San Diego!!!

A quel punto, scoraggiati, abbiamo deciso di fare ritorno a casa….pazienza.
Sarà per la prossima volta 🙂

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Ci amano…inutile negarlo

mercoledì 6 agosto

Gli americani amano l’Italia. Le tracce e le dimostrazioni di questa realtà sono molteplici.
Iniziero’ col dirvi che spesso in USA si trovano monumenti e targhe dedicate alle eccellenze italiane, ma non solo. Si trovano frequentemente, soprattutto sulla costa est, commemorazioni dedicate alla massiccia immigrazione italiana del secolo scorso: famosissimo Ellis Island a New York, situato vicino alla Statua della Libertà, che era il punto d’ingresso in America una volta arrivati al porto di N.Y. con le navi.

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In effetti, se ci pensiamo, l’immigrazione italiana negli Stati Uniti e’ stato un fenomeno davvero determinante: la massa di persone che piano piano si sono stabilite nei vari Stati, apportando nuove culture, nuove ideologie, nuovi modi di fare, ha fatto si che segnasse profondamente anche la cultura delle altre persone. E’ normale, perciò, che venga celebrato questo movimento migratorio di enormi proporzioni.

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Ma parliamo di argomenti più leggeri: la cucina.
Non ho trovato una persona che dopo avermi chiesto da dove venivo, appena sentita la risposta “Italia”, non affermasse quanto adori il cibo e il vino italiano
E’deciso! La cucina italiana e’ assolutamente un cult qui! E’ apprezzata anche meglio della nostra vicina Nouvelle Cuisine. Vanno pazzi per tutti i ristoranti Italiani.
Ma la cosa curiosa e’ che ci sono pietanze come “Pasta Alfredo” o “ chicken parmesan” (pollo e parmigiano) che sinceramente in Italia non ho mai assaggiato! Pare, però, da una ricerca che ho fatto in rete, che queste pietanze siano vecchie ricette importate e che ormai non vengono quasi più cucinate in Italia, mentre qui sì, perche’ fanno parte della cultura Italo-Americana.

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Altra cosa particolare che ho osservato qui in California, ma che ho visto anche in giro per il resto dell’America, è  un piccolo adesivo raffigurante la bandiera Italiana che viene attaccato sul baule posteriore delle auto. Questo segno fa intendere che il conducente (o chi per lui) e’ di origine Italiana, magari anche di molte generazioni passate.

 

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In effetti, in Italia, soprattutto in questi ultimi anni, si e’ frustrati, stanchi di alcune situazioni comuni, e spesso anche arrabbiati tanto da sentire cosi’ forte il desiderio di cambiare aria; tuttavia quando all’estero si viene apprezzati in quanto italiani, la soddisfazione c’è!
Dai commenti di molte persone che ho incontrato ho potuto rendermi conto che del nostro Paese vengono apprezzati, non solo il cibo e la moda, ma anche la cultura, la storia , i paesaggi favolosi, i mari incantevoli.
Ah…e poi mi è sembrato di capire che la nostra lingua, l’Italiano, e’ ritenuta molto… sensuale 🙂 !!!!!Infatti non a caso molti nostri cantanti hanno un seguito enormi qui negli USA, quasi maggiore che in patria.

Andrea_Bocelli          Laura-Pausini

 Zucchero-Fornaciari

Insomma i motivi di orgoglio sono tanti…peccato che altrettanti siano i motivi di vergogna.
Ma questo è un altro discorso.

“L’amore comincia a casa: prima viene la famiglia, poi il tuo paese o la tua città.”

Madre Teresa di Calcutta

FASHION

martedì 5 agosto, Orange County

Ieri giornata fashion! Ovviamente decisa da me 🙂

Siamo partiti per l’Orange County, una contea a sud della zona di Los Angeles che, oltre ad essere nota per il benessere negli ultimi anni, è diventata famosa per la serie televisiva The O.C., ambientato in una delle zone più piacevoli della contea, Newport Beach, visitato i primi giorni della nostra permanenza qui.

La contea di Orange è l’ideale per chi vuole godere della natura e del relax, anche se non mancano comunque le gallerie d’arte (di cui Laguna Beach è il regno per eccellenza), i locali di ritrovo per giovani cosí come una vasta gamma di ristoranti di buona qualità.

Orange County è anche famosa per lo shopping, ospitando uno dei più famosi e ricercati centri commerciali del sud California: il South costa Plaza.

 

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Si tratta del più grande mall dell’Orange County, addirittura nel suo sito  si legge che si tratta del piú grande shopping center degli Stati Uniti.Ci credo!!! E’ una piccola cittá!!! E’ immenso: è costruito su 3 livelli nella zona interna e in più c’è una zona esterna molto verde e ricca di posti di ristoro.

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Può succedere che per visitare alcune zone, sia consigliabile spostarsi con l’auto da un parcheggio all’altro per evitare camminate estenuanti. Inoltre l’edificio principale è collegato ad un altro grande edificio che ospita soprattutto mobili, oggetti e arredo casa in genere, tramite un ponte esterno che passa al di sopra della freeway

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C’è una grande varietà di negozi e per visitarli tutti ci vorrebbero almeno un paio di giorni: improponibile!! Davvero …ci sono negozi di tutti i generi, anche grandi marchi del lusso settoriali mai visti prima.
Posso tranquillamente affermare che è il paradiso degli amanti dello shopping: si trova qualsiasi cosa!

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Abbiamo fatto, per ora, solo un giro esplorativo….la vacanza è ancora lunga e le spese le lasciamo per gli ultimi giorni di permanenza qui, prima del viaggio on the road …comunque che dire? L’imbarazzo della scelta è davvero GRANDE!!!! Meno male che c’è il borsellino che ci richiama all’ordine!

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Abbiamo scelto di rimanere a mangiare nel mall e di provare una catena che non avevamo ancora sperimentato: si chiama California Pizza Kitchen. Locale anni ’60 con divanetti, luci soffuse e musica. Pizza buonissima ai cinque formaggi e pomodoro fresco e ,come dolce, una meravigliosa lime cake.

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Per oggi possiamo ritenerci soddisfatti! ( questa notte penso che mi sognerò quella meravigliosa borsa di Coach che ho visto in vetrina e che “mi stava chiamando” 🙂 …la voglio!!!

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SANTA MONICA

domenica 3  agosto, Santa Monica

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Domenica abbiamo deciso di tornare a Los Angeles per assistere alla messa nella cattedrale e poi di fermarci alla spiaggia della città, cioè a Santa Monica.
Santa Monica è una città balneare, situata nell’omonima baia, ed è circondata per tre lati dalla contea di Loa Angeles.
Fu chiamata così dagli spagnoli che visitarono l’area in cui sorge la città nel giorno dedicato a Santa Monica, madre di Sant’Agostino.
Il principale collegamento tra Santa Monica e il centro di Los Angeles è costituito dalla Santa Monica Freeway, o Interstate 10, la più grande autostrada est-ovest degli Stati Uniti del Sud e una delle più trafficate di tutti gli Stati Uniti ( ne sappiamo qualcosa…sigh.. per fare poco più di 14 miglia ci abbiamo impiegato un’ora e mezza!)
Arrivati a Santa Monica, dopo aver lottato per un parcheggio, abbiamo iniziato la nostra passeggiata dalla zona centrale dove si trova la Third Street Promenade, che attraversa tutta la cittadina ed è l’unica grande via pedonale di tutta Los Angeles: è una specie di centro commerciale all’aperto, disposto su tre isoalti dove si può passeggiare, fare shopping senza preoccuparsi delle automobili. Il tutto è allietato da suonatori di flamenco o dallo spettacolo di artisti di strada che si cimentano in acrobazie hip-pop.

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All’estremità sud della Promenade, superato un centro commerciale, siamo arrivati finalmente al lungomare e al Pier: in effetti l’attrazione turistica principale di Santa Monica, oltre alle spiagge, è il molo, Santa Monica Pier, costruito nel 1909: è il luogo simbolo più irresistibile in città.

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Vi si trovano giochi da baraccone, una giostra storica, una ruota panoramica, montagne russe e un acquario; ma davvero spettacolare è ciò che si offre alla vista, l’immenso oceano blu-verde e un arco di sabbia dorata che si estende per miglia e miglia.

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Un breve giro sul Pier e poi una sosta sulla spiaggia per osservare il viavai di gente del posto ma anche dei numerosissimi turisti: fra l’altro da qui si vede la Original Muscle beach, dove verso la metà degli anni ’50 nacque la mania per il fitness che poi avrebbe spopolato in seguito in tutta la California del sud. Abbiamo notato la presenza di varie attrezzature ginniche e una schiera di super muscolosi “fanatici”. Mah….

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Colgo l’occasione per descrivervi come gli americani vivono la spiaggia: la differenza più’ grande e’ che non esistono stabilimenti balneari.
Spesso le spiagge partono direttamente dalla così’ detta “boardwalk” oppure direttamente dalla strada. Sono spiagge che noi chiameremo “libere” dove quindi potete piantare il vostro bell’ombrellone e la sedia che vi siete portati da casa (come fanno tutti qua, guai a portarsi l’asciugamano solo come da noi!!). Solitamente sono del tutto free.
Le località’ di mare hanno spesso una così’ detta “boardwalk” che non e’ altro che una passeggiata appena dietro la spiaggia costruita con assi di legno e un poco sopraelevata che ospita negozi, luna park, bancarelle, ristoranti e chi più’ ne ha più’ ne metta. In pratica e’ il fulcro della vita serale e pomeridiana, tutti vi si riuniscono per la cena, per fare due passi, per approfittare di veri e propri luna park sulla spiaggia e per fare due chiacchiere.

Come dicevo in precedenza, l’americano medio che si rispetti non si fa mai mancare nulla, nemmeno sotto l’ombrellone. Ecco quindi presentarsi le scene migliori in spiaggia, quando si vede la famiglia arrivare con i carrelli da spiaggia che portano ombrelloni, giocattoli per i bambini, sedie da mare, cooler per il pranzo e l’alcool per l’happy hour. Gli americani non sono come noi che ci accontentiamo di un telo da mare sulla sabbia, qua tutti usano sedie da mare pieghevoli in alluminio con porta bicchiere/i incorporati! Un’usanza che si sta diffondendo anche in Italia e’ quella poi di piantare vere e proprie tende solari o gazebo per tutta la famiglia.

Per concludere, un enorme NO NO da tener presente quando si va al mare in USA: per i ragazzi/uomini mai e poi mai usare un costume da bagno che non siano pantaloncini o boxer da mare!!! Niente costumino formato mutanda o “speedo” come lo chiamano qua o sarete guardati come lo, scusate il termine, sfigato di turno che di certo non e’ del luogo.:-)

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Quando eravamo stati qui nel 2008 ricordo che avevamo visitato un mercato meraviglioso: in effetti non si può dire di conoscere davvero Santa Monica fino a quando non si è esplorato uno dei suoi mercati agricoli all’aperto, riforniti di frutta e verdura biologica, fiori, prodotti da forno e ostriche fresche. Il mercato del sabato è quello più grande e forse ancora migliore di quello di L.A. per la frutta e la verdura, tanto che viene frequentato anche da famosi chef locali.
La domenica mattina, però, il mercato assume una dimensione più comunitaria, con musica dal vivo, la possibilità di montare in sella a un pony, una mezza dozzina di bancarelle di cibi pronti. Il tutto in un rigoglioso prato verde.

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Ormai il sole sta calando e ci prepariamo per il ritorno a casa;  camminando attraversiamo, proprio di fronte all’Oceano, la Route 66 che qui termina: è la prima grande autostrada americana che  collegava un tempo Santa Monica e Los Angeles con Chicago, quella del mito americano del on the road. La guardiamo e mentalmente le diamo un “arrivederci” poiché fra qualche settimana la percorreremo per un breve tratto…a presto!

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Quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è speranza. È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all’erta.

— Tiziano Terzani

L’egoismo della felicità

Seal Beach, 1 agosto
E proprio così. Sto vivendo un’esperienza molto entusiasmante e i momenti di gratificazione e di curiosità appagate sono molteplici, così come gli attimi di felicità regalati dalla percezione di attraversare istanti unici.
Sono davvero molto contenta della scelta di vivere quaggiù per queste settimane e non la cambierei per niente al mondo.
Questa è la premessa.

Ma, detto questo… si sa l’animo umano è complicato …e mi ritrovo a pensare che sia assolutamente vero ciò che migliaia di anni fa disse il filosofo stoico greco Epitteto: “L’uomo è disturbato non dalle cose, ma dal modo in cui le vede”.
Spesso i pensieri che accompagnano le nostre azioni ci portano a non godere fino in fondo del benessere che si sta vivendo; il problema non è in qualcosa che c’è, ma qualcosa che appare nei nostri pensieri e si materializza, come se fosse già lì.

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Uno dei miei autori più amati, Tiziano Terzani, diceva, quando ormai sapeva di avere pochi mesi di vita:” Ci sono giorni nella vita in cui non succede niente, giorni che passano senza nulla da ricordare, senza lasciare una traccia, quasi non si fossero vissuti. A pensarci bene, i più sono giorni così, e solo quando il numero di quelli che ci restano si fa chiaramente più limitato, capita di chiedersi come sia stato possibile lasciarne passare, distrattamente, tantissimi. Ma siamo fatti così: solo dopo si apprezza il prima e solo quando qualcosa è nel passato ci si rende meglio conto di come sarebbe averlo nel presente. Ma non c’è più.”

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Così capita che in alcuni momenti il troppo pensare mi tende dei trabocchetti; mi porta, infatti, a provare delle malinconie e delle tristezze, magari per il passato, magari per non poter condividere le esperienze con chi non c’è più nella mia vita, oppure soltanto per il senso di impotenza di non poter fermare il tempo e avere la sgradevole sensazione che mai in futuro potrò essere così serena come sono ora.

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Però!!! Che egoismi vigliacchi che si vivono nella propria interiorità!!

Mentre, fuori, nel mondo, bambini muoiono sotto i bombardamenti, persone perdono il lavoro e la vita, donne e uomini lottano per la sopravvivenza io me ne sto qui a creare castelli di superficialità.
Metterli allo scoperto fa provare vergogna perchè si palesa questo essere centrati su se stessi; ma sento di volerlo o doverlo fare: voglio mostrare la mia superficialità ed il mio egoismo…è giusto, è un piccolo prezzo da pagare per gli attimi di felicità vissuti.
La vita è un prendere e un dare: tanto mi ha rubato, ma tanto ho avuto.

In questo viaggio, fra i mille motivi di gratitudine al Signore per avermi concesso di esaudire così tanti desideri, sono altrettanto grata a lui per avermi fatto aprire gli occhi sulla realtà disperata di tante persone: uomini, donne e bambini che ogni giorno lottano per la sopravvivenza nelle strade, lottano per mantenere intatta la loro dignità…perchè quando non hai niente è facile perdere anche quella.

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Sono grata al Signore per avermi concesso di toccare con mano la sofferenza anche dove mai me la sarei aspettata e spero vivamente, una volta tornata a casa, di mettere in pratica i propositi che ora mi vengono alla mente e sopratutto al cuore così di getto. Quanta gente bisognosa c’è in Italia? Quante famiglie vivono l’esperienza della privazione assoluta?
Forse bisogna andare lontano per accorgersi di che ti è vicino, o forse, più semplicemente, arriva un giorno che capisci qual è il tuo posto nel mondo.

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Valore

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello
che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord,
qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.
( Erri DE Luca)

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